Il matrimonio nell'Antica Roma, parte I
- Angelica
- 14 mar 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 20 mar 2020
“Se potessimo vivere senza donne faremmo volentieri a meno di questa seccatura, ma, dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della razza piuttosto che ricercare piaceri effimeri”
Queste le parole pronunciate da Augusto[1]per la presentazione delle sue leggi volte alla promozione dell’incremento naturale della popolazione.
Evidentemente lontanissimo dall’idea romantica di amore, il matrimonio romano legittimo era l’alleanza tra due famiglie finalizzata alla procreazione.
D’altro canto pensiamo alla parola “matrimonio”: contiene in sé la locuzione mater, madre, procreatrice.
Ma procediamo con ordine.
Proprio come oggi, l’unione coniugale era preceduta da un fidanzamento, c.d. sponsalia[2].
No, i due fidanzati non ammiravano i tramonti sorseggiando del buon vino né ammiravano la luna.
Il fidanzamento era una vera e propria cerimonia solenne durante la quale si svolgeva quella che noi chiameremmo promessa di matrimonio: il padre della ragazza, cioè, assumeva l’obbligo giuridicamente vincolante di concedere in sposa sua figlia alla presenza degli amici più cari di entrambe le famiglie[3].
Seguiva un casto bacio tra i promessi sposi – conformemente al mosmaiorum, che esigeva comportamenti morigerati – e lo scambio dei doni (solitamente mobilio ed arredi), nel novero dei quali assumeva particolare rilievo l’anello di fidanzamento regalato dallo sposo alla giovane donna.
Non si trattava, infatti, di un semplice regalo, ma del simbolo dell’assoggettamento della promessa sposa all’uomo: l’anulussi infilava all’anularius, penultimo dito della mano sinistra da cui si credeva partisse una vena collegata direttamente al cuore.
Stabilito l’ammontare della dote[4]e fissata la data delle nozze[5], si banchettava tutti insieme.

Proposta di matrimonio tra due innamorati in epoca romana, Lawrence Alma-Tadema, 1892
Perché un matrimonio fosse considerato iustum, legittimo, era necessario che ricorressero tre condizioni:
1. il raggiungimento della pubertà, considerata l’età della maturazione intellettuale e sessuale;
2. la sanità mentale;
3. il conubium, ossia la capacità di contrarre validamente matrimonio con l’altro sposo (in particolar modo, venivano in rilievo lo status – i cittadini romani potevano essere liberi, schiavi o liberti – e l’assenza di dati rapporti di parentela).
Al ricorrere di questi tre presupposti i promessi sposi potevano contrarre matrimonio!
Siete curiosi di scoprire come si svolgeva la cerimonia?
Vi aspettiamo per la prossima puntata!
[1] Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, primo imperatore romano (27 a.C. – 14 d.C).
[2] Sponsalia, -ium: fidanzamento.
[3] La società romana era basata su un rigido formalismo giuridico che imponeva il rispetto di formule prescritte ad substantiam, ossia ai fini della validità stessa di un atto.
Nel caso di specie, il fidanzato chiedeva al padre “Spondesne” (Lo prometti?) e quest’ultimo rispondeva “Spondeo” (Lo prometto).
Lo scambio di queste brevi battute determinava l’assunzione dell’obbligo reciproco di celebrare le nozze.
[4] In latino arrhae sponsaliciae, l’adozione di tale uso ha determinato il venir meno della regola classica che consentiva lo scioglimento del vincolo matrimoniale senza alcuna conseguenza patrimoniale: in assenza di giusta causa, il promesso sposo avrebbe perso quanto da lui conferito, la fidanzata, invece, avrebbe dovuto restituire le arrhaenella misura del quadruplum(successivamente ridotta al duplum).
[5] Scelta apparentemente semplice, ma in realtà condizionata tradizione romana secondo cui alcuni giorni erano nefasti. Il martedì, ad esempio, era considerato tale perché dedicato a Marte, dio della guerra.
In copertina:
Nozze Aldobrandini, Autore sconosciuto, età augustea
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