Il matrimonio nell'Antica Roma, parte III
- Angelica
- 23 mar 2020
- Tempo di lettura: 2 min
"Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia"
"Ovunque tu sarai, io sarò"
Questa la frase solenne pronunciata dalla sposa allo sposo con cui si suggellavano le nozze.
Una formula intrisa di romanticismo con cui la donna giurava amore eterno all'uomo.
Successivamente si dava inizio al ricco banchetto, costellato da brindisi ben auguranti [1], che durava sino al tramonto.
Tuttavia, prima di giungere a questo momento cruciale, la cerimonia matrimoniale seguiva un rituale ben preciso.
La sera prima delle nozze, infatti, la fanciulla si recava presso un tempio da lei scelto e consacrava alla divinità alcuni ricordi della sua infanzia, quasi a segnare il passaggio da uno stadio all'altro della sua vita. Successivamente donava alla Fortuna Virginalis [2] la sua toga pretexta con le fasce rosso porpora simbolo di inviolabilità; evidentemente anche questo un gesto altamente simbolico che segnava il passaggio dallo status di giovane donna a quello di moglie e futura madre.
Il giorno del matrimonio, che si svolgeva a casa della donna, i fidanzati - insieme a familiari ed amici - sacrificavano agli Dei un bue o un maiale, di cui l'auspex [3] controllava le interiora per verificare se quanto in corso fosse gradito alle divinità.
In caso di risposta negativa, il matrimonio veniva dichiarato nullo.
Nell'ipotesi di esito positivo, l'auspex e i testimoni ponevano il sigillo sull'atto di matrimonio mentre lo sposo sollevava il velo [4] volto della donna e lo poneva sul suo capo.
A questo punto i due sposi si stringevano le mani, gesto intimo a riprova della sua importanza e della sua simbologia: due persone che si vincolavano vicendevolmente.
Terminata la cena nuptialis, la sposa veniva scortata a casa dello sposo da un corteo festoso a capo del quale vi erano suonatori di flauto e cinque tedofori.
Oltre che da loro, la processione nuziale era guidata da tre amici dell'uomo: uno, il pronubus, portava una torcia di rami di biancospino [5], mentre gli altri due sollevavano la novella sposa al di là della porta dell'abitazione di suo marito.
Con lei entravano in casa anche tre sue amiche, ognuna delle quali aveva un compito ben preciso: invero, una le consegnava un fuso, la seconda le affidava una cicala di mare ed infine la terza - che indubbiamente rivestiva il ruolo simbolicamente più rilevante - la accompagnava al talamo matrimoniale e la aiutava a prepararsi alla sua prima notte da donna sposata.
A questo punto la vita matrimoniale degli sposi aveva inizio e non restava che augurarsi che tutto sarebbe andato per il meglio!
[1] Abitualmente i brindisi erano accompagnati da grida augurali quali "Feliciter" (Felicità) o "Talasius" (Talassio, Dio del matrimonio).
[2] La Dea Fortuna, Dea del caso e del destino, ma anche protettrice del matrimonio e della fertilità.
[3] Augure privato, non era né un sacerdote né un funzionario.
[4] Il velo della sposa romana era rosso, arancione o giallo, i colori del fuoco, in onore ad Estia, la Dea del fuoco.
[5] Nell'Antica Roma il biancospino era il fiore consacrato al matrimonio, simbolo di felicità e prosperità nonché di protezione dell'infante in fasce.
In copertina:
Nozze Aldobrandini, Autore sconosciuto, età augustea.
Comments